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INTERVISTA DI NEWSFOOD AL COORDINATORE SAVERIO DE BONIS

1) Saverio De Bonis, in qualità di coordinatore, ci vuole parlare di FIMA, la Federazione Italiana dei Movimenti Agricoli? Innanzitutto può spiegarci perchè nasce questa nuova iniziativa?

Lo scenario in agricoltura è allarmante. Prezzi di vendita al ribasso e svalutati rispetto a venti anni fa, costi di produzione in progressivo aumento, mercati poco trasparenti, oppressione fiscale, stretta creditizia perdurante, scarsa tutela e assenza di controlli sui prodotti alimentari, agropirateria, abbandono dei territori, definiscono un quadro molto grave della situazione agricola del Paese. Se a questo aggiungiamo la riduzione dei sostegni europei per l’Italia e le stime sui redditi della Commissione europea sino al 2020, che prevedono per i vecchi stati membri un decremento medio del 3,5% e per i nuovi stati membri un incremento medio del 35%, il futuro non appare certo roseo per la nostra agricoltura. Cosa dobbiamo pensare, che per sopravvivere dobbiamo andare via dall’Italia? Fima nasce per frenare la fuga dalla terra, difendere l’Italia rurale; il suo ruolo è di presentare la convenienza delle politiche volte a investire in agricoltura e di riscattare il mondo agricolo anche attraverso nuove alleanze. C’è una parte consistente del territorio italiano che muore senza agricoltura, spetta a noi impedirlo.

2) Cosa chiedete al Governo?
Noi riteniamo che una situazione di continua emergenza vada governata; non si può pensare di lasciare tutto al mercato che produce una cattiva allocazione delle risorse, con guasti enormi in termini sociali, ambientali ed ovviamente economici. Una miope visione del mercato delle materie prime agricole, nel lungo periodo genera danni, non benefici per l’economia europea e italiana.
La nostra federazione su questo punto è d’accordo con Paolo De Castro, che di recente in un convegno ha fatto l’esempio allarmante del comparto zucchero. Dopo aver smantellato in Europa questo comparto, ritenuto poco strategico, in cui c’erano 85 zuccherifici, di cui 14 in Italia, a distanza di dieci anni ci si è accorti che il prezzo mondiale dello zucchero, invece che diminuire, è passato da 300 dollari/tons a 1100 dollari/tons. Bisogna far capire all’opinione pubblica e alle istituzioni che barattare le materie prime agricole europee per favorire altri scambi commerciali, in nome della deregolamentazione, nel lungo termine non paga ed espone al rischio di non soddisfare l’autoapprovvigionamento, mettendo a repentaglio la salute dei consumatori europei.
Il pericolo maggiore, infatti, è che, grazie a cibi di dubbia provenienza e a una legislazione disarmonica, si diffonda una tendenza che può pregiudicare l’affidabilità e la stessa qualità dei prodotti, riducendo gli standard di sicurezza sanitari e incidendo, così, maggiormente sui bilanci sanitari di uno stato, dunque, sull’indebitamento.
Ad esempio, se guardiamo al caso dei cereali, che De Castro conosce bene, sono più fortunati i suini canadesi che i consumatori europei: i limiti europei sulle micotossine nei cereali per consumo umano sono, infatti, più alti di quelli che il Canada impone a favore degli animali, con il risultato che nel mondo ciò che risulta vietato far mangiare agli animali, è consentito far assumere ai consumatori in Europa. E’ un paradosso pericoloso sul piano sanitario che la politica europea non è ancora riuscita a risolvere, perchè ostaggio delle lobby industriali!
Bisogna, infine, spiegare all’opinione pubblica quanto costa al Paese in termini di dissesto idrogeologico l’abbandono delle campagne.
Non possiamo continuare a rimanere in questa situazione, i molteplici segnali di allarme travalicano ormai i legittimi interessi di categoria; c’è, dunque, un dovere etico e politico per l’Italia di rilanciare il primario e di assumere una iniziativa politica a livello internazionale per proteggerlo, evitando i condizionamenti delle lobby economiche e finanziarie!
Ancora una volta è la politica la grande assente e noi vogliamo colmare il vuoto, spronandola. Adesso siamo in una situazione in cui bisogna dare respiro alle imprese e concedere subito una moratoria di tutte le scadenze (Inps, Banche, Equitalia) e tutti i provvedimenti esecutivi, come preannuncia l’ordine del giorno finalmente accolto dal governo, dopo la presentazione di alcune forze politiche alla Camera, e come già è stato fatto per altri settori.
Accanto a questo è necessario che le imprese tornino a fare reddito, senza incrementare la pressione fiscale o far finta di concedere degli sconticini.

Sperare in un incremento dei prezzi non basta, poichè, anche se viviamo in un’epoca in cui la domanda alimentare cresce ad un ritmo più che doppio rispetto all’offerta, manca una politica di trasparenza nei meccanismi di formazione dei prezzi. Lo dimostra la divergenza tra prezzi al consumo, prezzi all’ingrosso e prezzi all’origine. La speculazione nell’agro-alimentare è galoppante, mentre manca una seria lotta da parte del legislatore che riequilibri i redditi lungo le filiere.
Non è solo un fatto organizzativo. E’ compito della politica economica rendere sempre più indisponibili posizioni di rendita, in caso contrario si favoriscono i cartelli e le posizioni dominanti abusate a danno della concorrenza. Infine, si nega al consumatore italiano la possibilità di scegliere i suoi acquisti perchè l’Europa non ha ancora deciso se stare dalla parte delle multinazionali industriali o dei consumatori.

3) Da più parti, si lamenta che uno dei motivi strutturali della crisi dell’agricoltura italiana derivi dalla frammentazione dei produttori e dell’offerta, che impediscono ai nostri prodotti di qualità di affermarsi sui mercati esteri e limitano la possibilità d’intervento dell’Unione in caso di crisi.

La scarsa organizzazione commerciale in forma di OP (Organizzazione Produttori) corrisponde a verità solo in parte, se si considera che non abbiamo una seria politica di promozione dell’export. Basta raffrontare lo stato comatoso dei nostri strumenti pubblici (Ice, Buonitalia, etc), alcuni dei quali soppressi di punto in bianco, mentre Francia, Germania e Spagna rafforzano il sostegno all’export. La frammentazione viene altresì incoraggiata dall’assenza di norme che incoraggino l’aggregazione. L’attuale legislazione sulle Op in Italia, sembra più una barriera al suo utilizzo che un incentivo all’aggregazione.
In Parlamento, da tempo, giace una proposta di legge che equipara le coop alle OP. Inoltre l’uso disinvolto dello strumento cooperativo ha sinora favorito la crescita di molte cooperative spurie, riconducibili spesso a grossi gruppi agroindustriali, che di mutualistico hanno ben poco. Queste multinazionali alimentari domestiche, attraverso l’uso improprio dello strumento cooperativo, hanno ridotto il gettito fiscale per le casse dell’erario e frenato la possibilità di estendere questi strumenti a favore del mondo agricolo.
L’alterazione del quadro competitivo, consequenzialmente, ha prodotto una concentrazione di mercato in molte filiere, resa possibile da una leva fiscale impropria e dall’utilizzo di finanziamenti pubblici, previsti per gli operatori agricoli di base – secondo la legislazione comunitaria – ma di fatto utilizzati dall’industria agroalimentare. La stessa che oggi acquista materie prime agricole all’estero a danno dell’agricoltura italiana di base.

4) Perche’ siete critici con le organizzazioni sindacali?

Se questo è lo scenario, le istanze che provengono dal mondo agricolo, evidentemente, non sono adeguatamente rappresentate e oggi la nostra categoria sta pagando decisioni prese troppo frettolosamente o addirittura non prese, che ci pongono in Europa in una posizione di retroguardia.
Ad esempio, versiamo al bilancio dell’Unione europea più di quanto riceviamo in termini di sostegno al reddito, con la conseguenza che nell’ultimo decennio i redditi agricoli italiani si sono contratti del 35,8% mentre quelli dei colleghi europei sono cresciuti in media del 5,3%.
E’ logico che gli agricoltori italiani siano arrabbiati e comincino a manifestare in ogni parte d’Italia, hanno già pagato abbastanza in termini di mancata rivalutazione dei prodotti e calo dei redditi; oggi non possono essere equiparati agli evasori attraverso una ingiusta rivalutazione degli estimi che farà lievitare ulteriormente i costi di produzione. Insomma questi pochi esempi dimostrano che non siamo stati tutelati adeguatamente, è mancata una politica agraria e adesso siamo stanchi di farci rappresentare da sigle piene di sola burocrazia. Il che non significa che siamo al tiro al bersaglio delle rappresentanze, ma è giunto il tempo che gli agricoltori comincino ad occuparsi direttamente e seriamente del proprio futuro, riorganizzando la propria rappresentanza, senza prestare il fianco all’antipolitica.
Diversamente non può che restare solo un ruolo di cerniera tra un passato contraddistinto da una politica fatta di scarsa lungimiranza, tagli, noncuranze, e un futuro incerto. Noi non siamo un nuovo sindacato: non ci interessa il lato burocratico, perché Fima vuole presentarsi come anima critica e nuovo soggetto di pensiero politico, per il bene comune.

5) Qual’è il giudizio sull’impatto dell’ultima manovra in agricoltura?

Il recente atteggiamento di fronte al decreto Salva-Italia, con l’appello alla responsabilità da parte di alcune sigle, da un lato, non tiene conto di quello che l’agricoltura ha già dato al Paese, dall’altro, dimostra l’enorme deficit di capacità di analisi, cui si accompagna una certa dose di ipocrisia. Non si può stare zitti mentre il provvedimento fiscale viene approvato, per poi chiedere ai comuni, dietro la spinta della base e dei movimenti, di dimezzare la pressione fiscale, che prima è stata avallata. La verità è che questi dirigenti, pur essendo lautamente pagati, non hanno compreso gli effetti recessivi della manovra sull’agricoltura. Il Ministro, al contrario, ha compreso che le riduzioni apportate sono una risposta parziale, affermando che ci sono: “troppe tasse agli agricoltori”.
Ecco perchè la nostra azione sarà di pungolo dall’esterno per costringere tutte queste sigle a fondersi in un unico soggetto; lo impone il cambiamento che dall’interno è impossibile attuare, ma lo impone anche il nuovo corso della politica italiana che imprimerà un’accelerazione a questo processo.
Non è un caso se sempre più agricoltori, in ogni parte d’ Italia, si sentono abbandonati al loro destino e fuoriescono da queste organizzazioni, imbroccando spesso le vie sbagliate dell’antipolitica e della protesta contro il sistema, dimenticando che in politica il protocollo è sostanza.

6) Come pensate d’intercettare il disagio?

Abbiamo il dovere di canalizzare in energia positiva la rabbia e la disperazione delle nostre campagne, ma anche l’amarezza silenziosa e inerme di chi improvvisamente scopre di non essere più ceto medio, per giungere alla definizione di proposte, provenienti dal basso, ma sempre rispettose delle regole. Questa è la nostra vera funzione e la nostra forza sarà il dialogo incessante con le istituzioni. Siamo convinti di poter trovare una convergenza con le idee espresse da altri se al primo posto mettiamo la tutela della terra, dell’uomo e della loro imprescindibile funzione in una società postmoderna in cui sono importanti le informazioni, i valori e un forte contenuto di servizi. La Federazione ha la missione di parlare di questi temi e del nuovo ruolo che può ritagliarsi, ma chi è parte del problema non può essere la soluzione.

7) Il vostro giudizio sui mercati è negativo perchè vi sono molte distorsioni. Cosa c’è che non funziona?

La compressione dei redditi ha espulso 750 mila imprese nell’ultimo decennio, i dirigenti di Equitalia hanno dichiarato che ben 980 mila aziende agricole in Italia sono esposte verso banche, Inps e fornitori per una somma complessiva di oltre 50 miliardi, e il nuovo Ministro ha finalmente affermato che: “Negli ultimi anni la quota di valore che resta agli agricoltori rispetto a quella che va all’industria e alla distribuzione si è ridotta sensibilmente”, aggiungendo che “si rende necessario riequilibrare la catena agroalimentare”. Anche il presidente della Commissione De Castro comincia a parlare in termini meno agro-industriali e più agricoli affermando che: “L’agricoltura sarà sempre di più un settore strategico, ma è necessaria una più equa redistribuzione per fronteggiare la nuova scarsità di cibo”.
Noi riteniamo che in molte filiere ci sia un problema di mercato legato all’importazione senza controlli e senza informazioni, penso ad esempio all’ortofrutta per la quale occorre rivedere alcune decisioni prese in ambito europeo che favoriscono alcuni scambi industriali a danno dell’economia agricola mediterranea, ma in altre filiere agiscono indisturbati i delinquenti.

Ecco, in un Paese civile i furti, i cartelli, gli abusi vanno puniti, anche penalmente e non solo con sanzioni amministrative. Questo è possibile se le Autorità di Controllo, nazionali ed europee, svolgono il loro lavoro sino in fondo, rispettando il diritto comunitario e la giurisprudenza europea. Poi c’è anche un livello di concorrenza fraudolenta e, dulcis in fundo, la grande speculazione sulle materie prime, di carattere globale, che deriva dallo smantellamento della regolamentazione dei mercati delle merci.
Con i futures tradizionali si scommetteva sulle variazioni di prezzo a breve termine e c’era una certa stabilità per i mercati. Da oltre dieci anni, invece, si è passati ad un mercato elettronico parallelo aggirando ogni tipo di controllo e scommettendo sull’aumento dei prezzi a lungo termine.
Questa evoluzione sta provocando instabilità, volatilità per i mercati e forti tensioni sociali in tutto il mondo. La politica agricola comunitaria non è riuscita a dare risposte perchè le sigle sindacali su questi temi, delicati, non hanno avvertito l’esigenza di far fronte comune e difendere l’agricoltura mediterranea; muovendosi in ordine sparso hanno accentuato la loro debolezza e lasciato intatta una situazione vulnerabile.
Il dibattito in corso, ad esempio, si limita a denunciare l’assenza di fondi mutualistici e assicurativi nella proposta Ciolos. Le stesse si sorprendono ogni giorno della volatilità annunciata dai mercati, dimostrando così un senso di impotenza che le ha gettate in una crisi profonda.

La sensazione di crisi, a sua volta, ha ridotto la loro capacità di progettare il futuro. Sicchè il loro futuro è deciso da altri e per interessi altrui, essendo esse in balia di un sistema in cui impazzano le multinazionali (anche quelle domestiche), l’economia e la cultura del profitto a tutti i costi fagocita la politica e la finanza fagocita l’economia. Solo la Chiesa ha capito che serve un’autorità politica universale che governi l’economia, e rimetta al centro l’uomo e la sua dignità, le altre istituzioni su questo terreno sono in pesante ritardo.

8) Dalla nuova Pac cosa vi aspettate?

La nuova Pac 2014-2020 annuncia un grande cambiamento. Le proposte in discussione vanno nella direzione di redistribuire, ridefinire e sostenere in modo più mirato. E’ necessario sia perchè le risorse diminuiscono, sia perchè la Corte dei Conti europea, in una sua relazione, ha identificato molti beneficiari che ricevono aiuti di considerevole importo senza svolgere alcuna attività. Eclatante il caso di una riserva naturale che da decenni non risulta utilizzata a fini di produzione agricola. Per non parlare di circoli ricreativi e sportivi, aeroporti, scuole e campeggi per un totale che arriva a circa 150 mila ettari, secondo le stime della Corte.
Sempre la Corte ha identificato investitori che hanno mobilitato ingenti somme per l’acquisto di diritti all’aiuto che hanno poi attivato su terreni di scarso valore produttivo, ottenendo in tal modo dai loro investimenti dei ritorni garantiti. Noi vogliamo una Pac che premi chi produce e vive di sola agricoltura.
Il fatto che si introducano, finalmente, elementi di differenziazione degli aiuti dimostra che, sinora, la Pac è stata insufficiente a garantire il reddito degli agricoltori veri – quelli che la stessa Corte ha definito attivi – in modo mirato e uniforme, nonostante le chiare previsioni dei Trattati.
Le finalità della politica agricola comune, è opportuno ricordarlo, prevedono di assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola migliorando il reddito individuale di coloro che lavorano nell’agricoltura. La Corte dei conti ha posto nel merito una questione di fondo.
La ripartizione degli aiuti è essenzialmente basata sulle superfici e, di conseguenza, una parte cospicua dei trasferimenti continua a essere assegnata alle aziende di maggiore dimensione.
Così si favoriscono le rendite, non chi produce.
Il regime di pagamento unico ha per scopo quello di sostenere il reddito, ma in effetti non tiene conto della situazione specifica del destinatario dell’aiuto. Vi è, dunque, una contraddizione con l’obiettivo dei Trattati. Per non parlare dei ritardi Agea che diventano sempre più patologici, ci sono troppe commistioni tra controllori e controllati che ci allontanano dalla normativa europea, che prevede invece termini di pagamento compresi tra dicembre e giugno di ogni anno.
In Francia i nostri colleghi al 1° dicembre di ogni anno ricevono regolarmente quello che gli spetta, senza sostenere ritardi e oneri finanziari, al contrario di ciò che succede a noi in Italia, a vantaggio così delle Banche.
La crisi e la rabbia degli agricoltori deriva dal fatto che in Italia non è stato soddisfatto l’obiettivo del reddito e della puntualità dei pagamenti, come avviene negli altri Paesi europei.

FONTE: NEWSFOOD

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